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Prendere posizione

  • Immagine del redattore: Claudia Fofi
    Claudia Fofi
  • 14 ago
  • Tempo di lettura: 4 min

In questo momento storico pare impossibile non prendere posizione, posizione netta, bianco o nero, brutto sporco e cattivo contro buono e il buono sono sempre io. Prendere una posizione netta significa annientare la possibilità di convergere con il nemico, significa appunto avere un nemico e se si ha un nemico la violenza è inevitabile. Se si sceglie la non violenza si sceglie anche l'amore - a dirla con Aldo Capitini, la non violenza non è semplicemente l'assenza di violenza, ma un'azione positiva e trasformativa che agisce per risolvere i conflitti attraverso l'amore, la comprensione e il rifiuto dell'uso della forza - e la scelta dell'amore confligge con la creazione di un nemico. Dunque si fatica non poco ad asserire il rifiuto di ogni tipo di violenza quando la violenza è tornata a far parte del nostro pane quotidiano, dell'aria che respiriamo. E credo che ogni giorno qui nella pacifica Italia possiamo osservare come essa si stia facendo strada, al di là degli articoli della nostra Costituzione. Si fa strada nel linguaggio traslato dal bullismo, tra le persone comuni che scelgono di calpestare sentendosi sempre calpestate, si impone come unica risposta a ogni problema. Risposta semplificante, la violenza, rispetto alla complessità dell'esistenza.


Poniamo che la Costituzione sia l'Anima di una nazione - secondo me lo è - in questo periodo ci stiamo facendo beffe di essa. E che cos'è il mondo, se non quella "vale of soul-making", la "valle del fare anima" del poeta Keats, il luogo dove possiamo essere parte del tutto e non singoli individui malati di odio verso gli altri?


Del rifiuto dell'anima italiana verso la guerra, i padri costituenti erano ben consapevoli, loro che avevano avuto esperienza diretta di che cosa significhi avere un nemico da uccidere o da cui essere uccisi, e quindi non poter evitare di schierarsi e di prendere posizione - che poi alla fine vuol dire dimenticare l'umanità nell'umano, parafrasando Grossman. L'umanità infatti guarda negli occhi il suo nemico e nell'incontro diventa capace di disinnescare l'odio. Il nemico non è altro che un altro umano spinto a odiare da governi disumani. I nostri padri costituenti avevano piena consapevolezza dell'anima e di come costruire una comunità basata sul fare anima: regola aurea, ripudiare la guerra. Sono i capitoli di luce della storia, brevi di solito, quando gli umani, lordi del sangue sparso, subito o arrecato, si svegliano per un attimo e diventano buoni e saggi e si danno delle leggi alte, altissime. Una posizione netta fu presa ed era una e una sola: sulla guerra non possono esserci ambiguità, si può solo essere contro.


Nel 1996 uscì "Anime Salve", l'ultimo album di Fabrizio de Andrè, scritto a quattro mani con Ivano Fossati (come narra lo stesso Fossati: il 90% dei testi furono di Fabrizio, il 90% della musica fu scritta da me). Le Anime Salve sono gli spiriti solitari. De Andrè diceva di temere le persone organizzate in gruppi, mentre non aveva mai temuto le persone da sole. Alludeva naturalmente all'organizzazione degli stati che si impongono con gli eserciti, dell'esistenza stessa degli stati in relazione all'incapacità dei gruppi umani di convivere pacificamente in anarchia. Il tema della solitudine e della solitudine degli ultimi era uno dei fili conduttori del bellissimo album, che include brani dedicati ai Rom, ai transgender, ma anche agli amanti, al pescatore solitario e alla solitudine vissuta in maniera positiva da chi sceglie di allontanarsi come condizione ideale per un cammino di autoconoscenza.


Mi viene in mente oggi, pensando al declino morale e culturale del nostro paese - e del mondo intero - in relazione alla costruzione dei nemici, che sta alla base della costruzione del consenso sulle guerre, di dominio o di difesa. Mi viene in mente pensando ai Rom. “Se si dovesse dare un Premio Nobel per la Pace ad un popolo, quello Rom sarebbe il più indicato a riceverlo”, sosteneva il cantautore genovese. Un popolo perseguitato, vittima di deportazioni e genocidio, da sempre oggetto di razzismo per il suo nomadismo, un popolo che non ha mai avuto un esercito nella sua lunga storia, perché non ha mai avuto uno stato.


«Il cuore rallenta la testa cammina / in quel pozzo di piscio e cemento / a quel campo strappato dal vento / a forza di essere vento», canta De Andrè in Khorakhané, il brano che fa riferimento alle persecuzioni subite dai Rom in Yoguslavia, Ungheria, Polonia. Persecuzioni che nel '40 iniziarono anche in Italia, paese vergognosamente pedissequo e storicamente sempre schierato col più forte del momento.


A forza di essere vento è pura poesia e dice tutto sullo spossamento operato dal vento sugli oggetti, sulle catapecchie, sulla pelle e nei capelli arruffati e sopra ogni cosa non radicata dei Rom. Vento come condizione di instabilità esistenziale - così stridente rispetto all'attaccamento alle cose e alla terra che è origine delle guerre, di ieri e di oggi.



"Le prime disposizioni per la persecuzione e l'internamento per i Romanì in Italia furono emanate l'11 settembre 1940. Una circolare telegrafica firmata dal capo della polizia Arturo Bocchini e indirizzata a tutte le prefetture del Paese conteneva un chiaro riferimento all'internamento di tutti i Romanì italiani a causa dei loro comportamenti antinazionali e alle loro implicazioni in reati gravi. Nella circolare venne ordinato il rastrellamento di tutti gli romaní, nel minor tempo possibile, provincia dopo provincia.

Il 27 aprile 1941 fu emanata un'altra circolare da parte del Ministero dell'Interno con indicazioni riguardanti l'internamento dei Romanì.

In un articolo pubblicato nel 1941, l'antropologo fascista Guido Landra manifestò adesione alle teorie razziste del Terzo Reich; secondo Landra, gli "zingari" «sembrano come noi, ma in realtà, sono gruppi di persone che rappresentano un apporto negativo alla razza» (fonte: Wikipedia)



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