Trista
- Claudia Fofi
- 16 mag
- Tempo di lettura: 3 min
Ieri uno che non conosco e che sicuramente voleva fare il simpatico, mi ha riferito la voce del suo popolo che mi indicherebbe come persona “trista”. Oh Fofi, lascia gì de fa la trista, mi ha detto con una specie di sorrisetto mortifero (cioè smettila di fare la trista). Lì per lì ci sono rimasta male (che gli avevo fatto?) ma tristo non vuol dire solo cattivo, ha tanti significati. Dentro c’è la malinconia e il tumulto e anche il dolore e dunque gli ho chiesto con dolcezza controllata: perché sarei trista? E quello, desideroso solo di togliersi di dosso questa impiastra: no, cioè, non me so spiegato, volevo dì che sei una intelligente, una di peso, una trista in senso bono.
Dunque la trista in senso bono sarei io e solo perché sono intelligente, essendo donna, non posso essere una persona intelligente e basta, la mia intelligenza è ovviamente trista e fastidiosa, il popolo di riferimento di quel tizio la pensa così.
La stessa cosa mi capita anche con le donne a volte. Mi è giunta voce di una che, avendo ascoltato una mia intervista sulla Festa dei Ceri, ha detto: io non la sopporto ma è stata proprio brava. L’ho incontrata di persona e mi ha manifestato un grande affetto per le emozioni che in lei e in altri ho suscitato con le mie parole. Chissà come mai questa signora timida e schiva non mi sopporta? Che le avrò fatto? E perché poi ci tiene a farmi sapere quanto mi stima con abbracci e sguardi languidi e commossi?
Niente. Non è qualcosa di razionale, è un moto interiore che ha a che fare con il rispecchiamento, la repulsione, la proiezione.
Allora domandiamoci, donne triste: vogliamo essere sopportate o vogliamo essere come siamo? Fino a qualche tempo fa, fino a prima della menopausa, che a me è arrivata tardi, tipo santa biblica, cercavo di più l’approvazione. La fine del mestruo mi ha liberata dal dovere di dover piacere, in un certo senso.
L’altro giorno una vicina di casa mi ha detto di avere ascoltato un programma radiofonico dove raccontavo alcune cose della mia città, Gubbio. Mi ha detto Claudia, sei un passo avanti a tutti, bravissima, certo che qui ti sentirai sempre sola, la gente non se vole sentì inferiore, te conviene sta' lontana.
Quante emozioni in pochi giorni e tutte per questa storia d’esser trista, parola quanto mai ricercata, alta, desueta, ma in Umbria popolare al punto che la si percepisce come fosse dialettale. Parola che designa malvagità, meschinità, malasorte, ma anche magrezza, un certo donchisciottismo - da cavaliera dalla trista figura.
Gente trista nominata e vista, ma in senso bono. In senso di gente intelligente, è chiaro.
Tristano è un nome di origine celtica. Secondo alcune fonti potrebbe derivare da un diminutivo di Drust, che in celtico significa rivolta, tumulto.
Un po’ donchisciottesca e in rivolta lo sono stata sempre. Per tanti anni ho tenuto appesa nella mia stanza una riproduzione di questo famoso disegno di Picasso, che rappresenta un Don Chisciotte filiforme con il suo celebre copricapo in testa, la catinella di rame da barbiere scambiata per l'elmo di Mambrino. L'auto nominato cavaliere è a cavallo del suo magro e pure lui tristo Ronzinante, accanto alla figura rotonda e tarchiatella di Sancho Panza, sul somaro Rucio. Il sole arde su di loro e sui mulini a vento in lontananza.
E avevo una piccola scultura di legno dell’hidalgo della Mancia sul comodino, a farmi da protettore dei sogni – poi una volta cadde, la lancia spezzata, decisi che era tempo di lasciare andare questi tristi figuri persi nelle loro visioni.
Don Chiosciotte è il mio personaggio letterario più amato, in senso assoluto. Fa sbellicare dalle risate e commuove. Ci ho fatto un esame monografico tanti anni fa, forse è tempo di riprendere in mano quell'antico filo, adesso che d'esser trista non mi faccio un cruccio.
Ho appena scoperto anche un proverbio: se lodi il tristo diverrà migliore, biasima il tristo, e diverrà peggiore. Chi si sente tristo/trista dunque riceva da me una carezza e una parola di affettuosa solidarietà.

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