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  • Immagine del redattoreClaudia Fofi

La poesia ha una voce. Qualche pensiero su Franco Arminio.

Aggiornamento: 16 apr 2023

Per me la poesia non è muta. La poesia io me la devo dire a voce alta e quando scopro le poesie degli altri è quasi sempre per un approdo che passa per le orecchie, devo sentire come suonano i versi, l'onda musicale, il ritmo e l'energia che scaturisce da ogni parola. Mi capita ad esempio di innamorarmi di un poeta perché lo sento alla radio leggere le proprie poesie. Non è tanto quello che dice ma il come, che fa la differenza, per me. C'è un poeta qui dalle mie parti che ha una voce debolissima, sottile, uno spiffero di voce. Fa pensare alla debolezza del cuore, quella voce. Quando legge le sue poesie riesco ad assorbire tutto il suo mondo ed è un mondo delicato, come quella sua esile voce. Per riuscire a entrare nella Ginestra di Leopardi me la sono dovuta leggere ad alta voce. Era durante il lockdown, avevo tempo da dedicare a imprese come questa. Se andiamo alle origini della poesia troviamo l'orecchio e non l'occhio, l'orecchio che ascolta parole di poeti errabondi, depositari e divulgatori di epiche e miti. Solo dopo è arrivato l'occhio, il leggere la poesia, lo scrittore di poesia, strutturato con le sue forme e poi sono arrivati i canoni poetici e per lungo tempo questo ammutolirsi del verso sulla pagina è stato prevalente. Ora da alcuni anni, non da oggi, la poesia va tornando nell'orecchio. Di pari passo con il progredire della tecnica, che sbriciola il nostro rapporto con il corpo reale, accade questa rinascita di una poesia orale, con aspetti arcaici fortemente legati al corpo, alla fisicità della voce.


Uno dei tratti che hanno fatto sì che mi avvicinassi sin dal principio alla poesia di Franco Arminio, è sicuramente l'uso della voce che lui fa per incatenare a sé i suoi lettori in modo indissolubile. Sinceramente non so quanto se ne renda conto, poco importa. Arminio è una voce. Una voce del sud, cantilenante, nasale, potente, con buffi saliscendi, spesso tonante. Una voce capace di entrare in contatto profondo e irrazionale con chi lo segue e lo legge, una voce che affabula. Ha ripristinato un ruolo antichissimo, attualizzandolo: il poeta che parla ai suoi contemporanei, direttamente, senza preamboli, senza farsi ostacolare (o almeno provando a non farsi ostacolare, ma certo non senza sofferenze) dai critici che lo vorrebbero muto e inoffensivo, quando la sua è invece una voce-poesia dirompente, un fiume in piena. Non è spoken word, non è rap, non è figo o intellettuale, è concreto e semplice, diretto. E' un poeta con una voce.

Perché le persone vanno ai suoi reading in massa e fanno la fila per farsi firmare il libro? Perché è una moda? Sono forse stupidi? No. Di stupidi non ce ne sono, ai suoi reading, nonostante quello che pensano i suoi tanti detrattori. E neanche di mezze tacche poetiche che di poesia non capiscono nulla e quindi si bevono il "fenomeno Arminio", insomma degli analfabeti o quasi.

(Tra l'altro questa cosa dei poeti che si mettono a odiare un poeta è talmente svilente per tutta la categoria dei poeti che mi vergogno per chi lo fa, davvero).

Le persone ci vanno perché hanno bisogno di una voce che porti loro le parole che mancano di più nello stremato vocabolario contemporaneo: la parola sacro, ad esempio. La parola che dà il titolo al suo ultimo libro: Sacro minore. Quanto è importante questa parola. Ecco, lo sappiamo, ma non sappiamo maneggiarla, ci sembra troppo enorme e allora arriva lui e fa una specie di elenco. Sono come dei sassi, uno sopra l'altro. Sono poesie? Non proprio, non nelle sue intenzioni, almeno credo. Sono enigmi, all'apparenza lineari e facili, ma complicati da trasferire seriamente nella vita reale. Sono sfide, ma dolci. Perché niente ormai è più sacro e questo suo libro viene a dircelo con una serialità quasi estenuante, per me necessaria: le piccole cose sacre, i minuscoli sassolini invisibili sono tantissimi infatti. Quando Arminio legge, con lentezza, assaporando le proprie parole, apre la porta di un luogo che è nella sua persona e che lui ha la generosità e la follia di riconoscere e di voler mettere in dialogo con il mondo: un luogo dove si ha voglia di stare tutti assieme a pensare che un poeta è una specie di isola in un mare di naufraghi ammutoliti. La voce ha un ruolo importantissimo in questo processo di identificazione, di interazione tra chi legge e chi ascolta, per questo Franco fa tanti reading. Proprio come un poeta antico, proprio nello stesso identico modo.






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